Compito della scuola è avviare le nuove generazioni alla scoperta del mondo perché possano conoscerlo, comprenderlo e possibilmente NON cambiarlo; a salvaguardia della civiltà, la scuola tiene a bada il cambiamento, classifica e separa la diversità, premia l’omologazione, garantisce la conservazione.
La società non può che insegnare se stessa, riproducendo nelle nuove generazioni
le direttrici comportamentali delle generazioni precedenti.
Ma i ragazzi crescono, sognano, e si mettono in testa le idee delle nuove
generazioni (beh, non tutti, i ciellini sono sempre esistiti) e ai loro occhi le ripetizioni mostrano
la logora noiosità della morte, il mondo appare in tutta la sua ingiustizia, arde
in loro il desiderio di un mondo migliore e sentono che la tradizione, in genere, non è altro che pura conservazione, inimicizia
preconcetta verso il nuovo e ripetizione insensata di gesti nella religiosa e rassicurante
gabbia dei rituali sempre identici. E soffrono; come in tutte le patologie, soffrono.
Il disturbo tuttavia dura poco: come le esantematiche, scompare in genere con l’adolescenza o poco più tardi.
Il disturbo tuttavia dura poco: come le esantematiche, scompare in genere con l’adolescenza o poco più tardi.
Ma anche se di breve durata, il disturbo rimane pericoloso ricettacolo di
idee nuove, matrice di potenziali cambiamenti, specie in relazione alla rapidità di contagio fra
giovani menti esuberanti. E poi, non si sa mai, metti che qualcuno non guarisce.
Da qui la necessità di adottare specifiche politiche giovanili.
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